Ecco a voi la nuova Newsletter per il mese di Febbraio!
In questo nuovo numero abbiamo il grande onore di presentare l’intervista a Maurizio Andolfi, fondatore della Terapia Familiare in Italia, insieme a Rodolfo De Bernart.
Il Dottor Maurizio Andolfi, nei suoi oltre 40 anni di carriera, ha dato voce e ruolo di co-terapeuta ai bambini, nella sofferenza della famiglia.
Proseguiremo con un articolo molto interessante sulla coppia della Dottoressa Roberta Cambi, e poi un articolo che fa il punto sulla nuova figura dello Psicologo delle Cure Primarie.
Infine, vi informiamo sulle attività di formazione in partenza nel mese di febbraio e marzo.
Buona lettura!
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Intervista al Dr. Maurizio Andolfi

Psichiatra Infantile e Psicoterapeuta Familiare di fama internazionale. Direttore dell’Accademia di Psicoterapia della Famiglia di Roma e della rivista “Terapia Familiare”

Il bambino, co-terapeuta del terapeuta familiare nel lavoro con la famiglia: il pensiero rivoluzionario di Maurizio Andolfi. In che cosa consiste?

Da più di quarant’anni mi occupo di bambini in situazioni di difficoltà. La mia competenza terapeutica si è arricchita negli anni, osservando e ascoltando i bambini nel contesto delle loro famiglie.
Purtroppo la terapia familiare ha costruito in gran parte le sue teorie e le sue tecniche secondo un pensiero adulto-centrico e ha considerato il bambino-problema più come un oggetto da osservare che come un soggetto competente. Così avviene spesso che durante la seduta si parli prevalentemente su di lui e sui suoi problemi e molto meno con lui sulla sua famiglia.

Il mio impegno, negli anni, è stato dunque quello di dare voce al bambino in seduta, facendomi guidare dai suoi sintomi come indicatori relazionali, per comprendere le dinamiche familiari su un piano multigenerazionale.
Ma ancora di più è lo spessore umano del bambino e la sua sensibilità relazionale che mi hanno accompagnato lungo l’intero arco della mia vita professionale quanto di quella personale. Specchiandomi negli occhi di un bambino mi sembra di riuscire a cogliere l’essenza della vita: l’amore, talvolta la tristezza, la fantasia e la trasparenza, nonchè la fiducia incondizionata nei confronti dei genitori. Gli occhi di un bambino parlano e descrivono i punti di forza e di debolezza del suo mondo affettivo.

Qual è il significato del sintomo del bambino nel sistema familiare?

I disturbi del bambino, siano essi psicosomatici, cognitivi o relazionali parlano attraverso il suo corpo o i suoi comportamenti e sono la strada maestra per arrivare ai nodi relazionali della famiglia.
“Un problema di un bambino è sempre un problema familiare”: questo motto mi accompagna da sempre e nella sua semplicità rappresenta un’idea forte e chiara che dà struttura all’intero impianto del mio modo di pensare e fare terapia.

I suoi sintomi sono indicatori relazionali per comprendere le dinamiche familiari su un piano multigenerazionale, ed è così che gli stessi sintomi del bambino portano la coppia in terapia.
Secondo questo processo, si passa dai sintomi-problema ai sintomi-occasione, per iniziare una terapia di coppia

Coppia coniugale in crisi: quali sono gli effetti sulle funzioni genitoriali ed il benessere psicologico dei bambini?

Quando un bambino presenta un disturbo psicosomatico, comportamentale o dell’apprendimento è pratica comune fare una valutazione diagnostica e, se necessario, indirizzato a una terapia individuale e magari a un trattamento farmacologico.
L’idea principale che ha guidato il mio lavoro clinico è molto diversa e prende corpo dalla convinzione che un disturbo infantile è sempre un problema familiare e che pertanto un bambino non può essere osservato come un’isola, staccato dai suoi legami affettivi fondamentali.
Il bambino non e’ un’isola: un disturbo infantile è un problema della famiglia.
Il bambino diventa così’ una sorta di ponte relazionale per esplorare legami familiari recisi, conflitti intergenerazionali o contrasti di coppia.
L’obiettivo di questa esplorazione è quello di favorire una trasformazione familiare e di coppia e di permettere al bambino di liberarsi dei suoi disturbi.

L’amore è una cosa semplice – a cura della Dr.ssa Roberta Cambi

Un giorno, in libreria mi capitò fra le mani un segnalibro che riportava la seguente la frase: “L’amore è una cosa semplice. È la coppia che è un casino”.
Chi è impegnato in una situazione sentimentale potrebbe dissentire ed affermare il contrario. Chi non è ingaggiato nel rapporto di coppia potrebbe essere d’accordo. Oppure, chissà…potrebbe essere il contrario; vero è che la questione dell’amore e del suo funzionamento interessa l’essere umano fin dall’antichità, in cui ci si interrogava su cosa fosse l’amore, si scrivevano odi e testi sui legami d’amore, come lo si fa ancora tutt’oggi. Con le recenti ricerche in materia, ormai è chiaro che le prime esperienze di relazione interpersonale vadano a influenzare le modalità di relazione nell’età adulta. Soprattutto, sembra ormai chiaro che il bisogno di essere ingaggiato in una relazione di accudimento e di cura, sia un bisogno essenziale dell’essere umano, tant’è che Bowlby teorizzò questo fra i bisogni primari e fondamentali dell’individuo al pari di quelli dedicati alla sopravvivenza. Se, come ha teorizzato Bowlby, il bisogno di attaccamento è un bisogno primario dell’essere umano, al pari del nutrimento e del riposo fisico, ricercare una relazione è un bisogno che permane per l’intero arco dell’esistenza. Per rispondere a questo bisogno, l’essere umano va alla ricerca di un partner; detta in maniera semplice, va cercare un/a partner che “possa fare al caso suo”.

E pensandoci bene, quale è il partner che fa al caso nostro? E perché proprio quel partner?
In un suo illuminante articolo, Paolo Menghi parla della ricerca dell’adulto, di un amore da parte di chi ritiene che non saprà soddisfarlo. Una mancanza che deriva dal rapporto a suo tempo con figure di riferimento, che non sono riuscite a soddisfare certi bisogni. La sfida dell’essere in coppia è la seguente: scegliere di continuare a perpetuare nel rapporto comportamenti e dinamiche che conducono soltanto a ritrovarsi davanti al solito nodo relazionale, oppure trasformare questa coppia in opportunità, volta non soltanto all’amore verso l’altro, ma anche all’amore verso sé stessi. Un amore verso l’altro e verso sé stessi che consta nella consapevolezza che l’altro non sarà mai in grado di colmare le mancanze avute nel passato, dalle proprie figure di riferimento, ed accettare ed amare quello che l’altro è in grado di darci, nel soddisfacimento dei nostri bisogni e delle nostre necessità. E scegliendo l’altro per le sue caratteristiche, piuttosto che scegliere di continuare ad alimentare le mancanze, scegliamo di separarci dall’idea illusoria che il partner possa compensare le nostre mancanze ed apriamo lo spazio alla consapevolezza che certi giochi sono pericolosi, ma creando l’occasione di canalizzare le nostre energie sul presente, costruito con l’altro, piuttosto che nel passato. Quindi, la coppia viene ad essere utile quando riesce ad essere flessibile rispetto alle esigenze connesse al processo evolutivo di entrambe i suoi componenti, favorendo lo sviluppo di entrambe e non la rigidità e l’adattamento al rapporto. Per cui, l’utilità sta nell’usare il rapporto con l’altro in ottica evolutiva e costruttiva, e non distruttiva.
Questa collusione, nella quale si “pretende” che il partner scelto compensi alle nostre mancanze ed ai nostri bisogni, nasce dall’incontro con l’altro. Ci sono varie motivazioni che spingono a scegliere un partner piuttosto che un altro: è possibile che l’altro abbia caratteristiche che corrispondono miti e mandati familiari, che la persona sente di dover colmare; oppure, fanno capo a meccanismi di proiezione nei quale la persona proietta e riconosce nell’altro caratteristiche che non sono che proprie; oppure ancora, si sceglie il partner sulla base dei suoi difetti, così che possiamo nasconderci dietro le nostre mancanze e portare avanti una lotta contro le sue caratteristiche, piuttosto che vedere i nostri difetti. Qualunque sia la caratteristica che scegliamo o che ci colpisce nel partner, vero è che al momento in cui ci incontriamo, c’è scelta reciproca, c’è collusione su tre aspetti: bisogni, funzioni e paure. Rispetto ai bisogni ,che pensiamo l’altro soddisfi e che abbiamo bisogno siano soddisfatti, sono quei bisogni che nelle nostre esperienze nella famiglia di origine, non sono mai stati completamente soddisfatti, ed abbiamo bisogno che qualcun altro di esterno colmi; in merito alle funzioni, sono quelle che ogni partner ricopre all’interno della coppia, in modo da compensare i bisogni che l’altro richiede, e non sono che le funzioni che abbiamo ricoperto in ambito relazionale nella nostra famiglia di origine. Infine, la paura non è che ciò che temiamo accada se il nostro bisogno non verrà soddisfatto dall’altro. La paura si collega ad un timore profondo che, paradossalmente, vogliamo che l’altro tuteli, ma soltanto nel contatto con l’altro c’è il rischio che questa paura emerga.

L’assetto collusivo che si crea è un assetto dinamico, che va di pari passo con la relazione tra i due partner. Questi tre aspetti nell’arco della vita di coppia potranno cambiare, così come contemporaneamente cambieranno le individualità delle persone: per cui, se uno dei due partner cambia nel corso della sua vita bisogno rispetto all’assetto iniziale, l’altro cercherà di soddisfare il suo bisogno, nelle sue possibilità e con la funzione che gli è possibile porre in atto.

Fatto importante è che la coppia vada in crisi anche nel momento in cui funzioni e bisogni vivono un disequilibrio. La sfida nella coppia sarà allora di riuscire a capire quanto si può rimodellare l’assetto collusivo e quando invece l’assetto collusivo è talmente rigido, da non apportare alcun cambiamento evolutivo. Su questo ultimo punto, uno scenario possibile è la rottura della coppia e la conseguente separazione.

Se si decide di restare in un legame sedimentato, statico e non fruttuoso, il rischio della possibilità di separazione mette in allarme la persona quando il legame ed il senso di appartenenza sono tanto forti all’interno della coppia, e così è altrettanto forte è il nostro senso di identità legato a quel legame di amore, più forte sarà la volontà di restare nel legame, piuttosto che rilanciare in un’ottica evolutiva per entrambi. La possibilità di separarsi introduce il pensiero che la coppia possa finire, riuscendo a offrire ad entrambi i partner la possibilità di recuperare progressivamente serenità rispetto alla condizione precedente e permettendo a ciascuno di riconoscersi anche in altro, piuttosto che solo nella coppia.

BIBLIOGRAFIA

Angelo C, La scelta del partner, in Andolfi M (a cura di) La crisi della coppia, in una prospettiva sistemico-relazionale, Raffaello Cortina, Milano, 1999
Bowlby J., Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina Editore 1988.
Giannakoulas A., Corteggiamento, innamoramento, amore e genitorialità in Nicolò Corigliano A. (a cura di) Curare la relazione: saggi sulla psicoanalisi e la coppia, F.Angeli 1996 pp. 26. 40
Menghi, P., La coppia Utile, in “La crisi della coppia. Una prospettiva sistemico- relazionale”. A cura di Maurizio Andolfi, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999, pagg. 41- 44
Norsa D., Zavattini G.C., L’identità ed il senso del noi, in Intimità e Collusione, Cortina 1997, pp. 31 – 51

Lo Psicologo delle Cure Primarie e l’attuazione nazionale e regionale – A cura della Dr.ssa Livia Sturlese Tosi

La proposta di inserire a livello pubblico e accessibile la nuova figura di Psicologo delle Cure Primarie, se a livello nazionale ha subito qualche intoppo, sta correndo a più non posso per essere attuata in molte sedi regionali.
Tutto è iniziato il 25 maggio 2020, quando la senatrice Paola Boldrini, insieme ad altri colleghi di differenti partiti, ha presentato in aula il Ddl 1827 dal titolo “Istituzione dello psicologo delle cure primarie”. Questa proposta, rivoluzionaria, aveva l’intento di introdurre, a livello nazionale, il servizio di psicologia delle cure primarie a livello di distretto di psicologia, che ancora non esiste, dentro le ASL, come servizio parificato a tutti gli altri del nostro sistema sanitario.

Il fine è di dare libero accesso, pubblico, effettivo e immediato, alla persona, per un primo livello di prevenzione e cure psicologiche di prossimità, come anche un eventuale filtro al pronto soccorso e/o a livelli secondari di cura.
Il disegno di legge traccia la via, che però non scende nel dettaglio su come strutturare la rete di collaborazione con i medici di base e pediatri, anche per la collocazione logistica di questa figura, senza definire se debba essere inserita fisicamente nell’ambulatorio del medico di base, o all’interno della struttura ospedaliera, o su chiamata per

consulenze dall’esterno.
Sicuramente è prevista l’instituzione di un dipartimento ad hoc, nella struttura sanitaria, addirittura seguendo il rapporto, molto significativo, di 1 psicologo ogni 5 medici.
Nel testo viene ovviamente anche citata la necessità di una formazione post laurea specifica sulle cure primarie, anche se non si fa menzione se la platea sia quella degli psicologi o solo degli psicoterapeuti.
Il 15 giugno 2021 la Camera ha approvato all’unanimità una mozione che impegna il Governo in merito al potenziamento dell’assistenza psicologica pubblica.
Si era parlato anche di “bonus psicologo”, fallito però con la nuova legge di bilancio 2022. Anche per questo, non trovando una soluzione nazionale, via via diversi consigli regionali hanno iniziato ad occuparsene.
La prima era stata la Campania, nel 2021, che ha subito anche un ricorso dal governo, bocciato poi dalla Corte Costituzionale, ad istituire il servizio di psicologia di base e la figura dello psicologo delle cure primarie o psicologo di base.
Anche in Lombardia il 18 gennaio di quest’anno, con la mozione Carretta, approvata all’unanimità, è stato istituito lo Psicologo delle Cure Primarie e sono state avviate le sperimentazioni per il suo inserimento all’interno dei servizi offerti dagli erogatori pubblici e privati accreditati, oltre che nelle equipe di medicina territoriale.
In Toscana la proposta è stata presentata in Consiglio il 21 gennaio, a pochi giorni dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, alimentando così l’attenzione sul “bisogno di strutture e di figureprofessionali che offrano un sostegno psicologico adeguato a chi lo richiede, ma rinuncia perché non ha i mezzi”, come sostiene l’Assessore toscano Andrea Vannucci, e non solo in tempi di pandemia.