Pubblicato sul Sole 24 ore
Conny Leporatti
Psicologa Psicoterapeuta
Mediatrice Familiare
Albo Periti Tribunale di Firenze
Relazione tenuta al Corso “La consulenza tecnica in procedimenti di separazione, divorzio, affidamento di figli naturali”, organizzato da AIAF Toscana, Firenze 27/02/09Vi ringrazio di avermi invitata questo pomeriggio per riflettere insieme a
voi sulla consulenza tecnica psicologica in procedimenti di separazione,
divorzio, affidamento di figli naturali.
Gli Psicologi che si occupano di Psicologia Giuridica sono in aumento in
questi ultimi anni, sia per la maggior incidenza delle problematiche
psicologiche in alcune situazioni (separazione dei coniugi, danno alla
salute, ecc.), sia per il crescente numero di situazioni in cui i Magistrati
sentono la necessità di supporto tecnico, ad esempio per l’ascolto del
minore.
Lo svilupparsi di questo settore di attività non comporta semplicemente
che lo Psicologo risponda ai quesiti del Diritto, ma che lo Psicologo
abbia maturato una particolare esperienza in questo campo, che conosca
non soltanto la normativa ma anche il contesto culturale e professionale in
cui gli operatori del Diritto si muovono, che sappia contestualizzare i
propri strumenti diagnostici e di intervento, che abbia ben presente la
specificità del lavoro clinico, sociale ed educativo, così come si evince
anche dai contributi disponibili sul sito di Psicologia Forense.
In questa situazione di confronto, il ruolo dello Psicologo nell’attività
forense è certo complesso e forse ad un passaggio critico e storicamente
importante. In questo senso l’approvazione da parte dell’Ordine Nazionale
Psicologi dei requisiti minimi necessari allo Psicologo per l’iscrizione
all’Elenco dei Consulenti del Magistrato presso i Tribunali è uno dei
segnali di attenzione e di riconoscimento.
Inoltre, la Psicologia Forense rappresenta uno di quegli ambiti di esercizio
della professione in cui occorre rispondere ad esigenze che, talvolta, il
Codice Deontologico non tratta in modo esplicito.
E’ da questo bisogno condiviso che il 15 ottobre 1999 l’Assemblea
nazionale dell’Associazione di Psicologia Giuridica, a Torino, ha delineato
le “Linee guida deontologiche per la Psicologia Forense”.
Esse determinano in ambito giuridico quanto previsto dalla deontologia
professionale dello psicologo.
Innanzi tutto uno psicologo che opera nel sistema giudiziario deve
rispettare il proprio codice deontologico, la cui inosservanza ed ogni
azione od omissione, comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al
corretto esercizio della professione, sono punite secondo l’art.26, comma
1°, della Legge del 18 febbraio del 1989 [Art.2 Codice Deontologico
Psicologi].
Nell’elaborazione peritale e nella stesura delle relazioni, occorre falsificare
la propria teoria, indicando le fonti, valutando l’attendibilità delle persone
esaminate e la validità delle informazioni, segnalando i limiti delle
conclusioni raggiunte, così come prevede l’art. 7 del Codice perché, a
fronte della molteplicità e della relatività delle teorie psicologiche, bisogna
esplicitare la propria teoria, documentando nel modo più dettagliato
possibile i metodi di indagine e le valutazioni effettuate.
Il Giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi e
l’esperto non dovrà trascurare di chiedere al Giudice la nomina di altri
specialisti laddove ne dovesse ravvisare la necessità.
Il compito del C.T.U. è quello di produrre gli elementi necessari al Giudice
per formulare il proprio giudizio.
Il Consulente d’Ufficio giura di far conoscere al Giudice la verità. Il
Consulente tecnico di parte tutela la sua parte; ciò significa che potrà
verificare che le operazioni peritali del C.T.U. siano svolte correttamente e
redigere controdeduzioni relative alla valutazione dei fatti, mediante dati
coerenti fondati su conoscenze scientifiche, in cui esporrà dubbi,
affermazioni ed ipotesi alternative.
Occorre, inoltre, che il Consulente tenga a mente che quanto verrà scritto e
depositato in cancelleria, diverrà un atto pubblico, fruibile dagli stessi
soggetti esaminati, quindi sarebbe auspicabile che il linguaggio fosse il più
semplice possibile e comprensibile per gli interlocutori.
Il CTU dunque, in qualità di “tecnico ausiliario” del Giudice,
fondamentalmente deve:
- illuminare l’organo giudicante circa il quesito ricevuto;
- fornire al Giudice i chiarimenti che di volta in volta gli sono richiesti;
- rilevare i fatti per lui importanti alla fine della valutazione tecnica;
- analizzare i fatti rilevati in relazione alla proprie cognizioni ed alle
- domande a lui rivolte;
- essere obiettivo nell’espletamento dell’incarico;
- confrontarsi con i rispettivi consulenti di parte, se nominati;
- riferire al Giudice tutte quelle circostanze che possono interferire con
- l’espletamento dell’incarico;
- chiedere eventualmente al Giudice l’autorizzazione ad agire nel caso
- si verifichino circostanze non previste al tempo del conferimento
- dell’incarico (ad es. spese da sostenere per l’incarico e per eventuali
- indagini).
In ordine alla stesura della relazione peritale, occorre precisare che essa
deve rispondere a due principi che il lavoro psicogiuridico – quale luogo
d’incontro tra due discipline epistemologicamente diverse, la psicologia ed
il diritto – deve integrare:
a) il principio scientifico dell’intersoggettività, secondo il quale le
conclusioni di natura psicologica devono poter essere argomentate a
partire dal confronto tra dati condivisibili, raccolti in ordine a premesse
teoriche esplicite ed a metodologie coerenti. Soltanto in questo modo le
interpretazioni date ai dati raccolti potranno essere esenti da pregiudizi
concettuali e non sembrare affermazioni aprioristiche del CTU;
b) il principio giuridico del contraddittorio, secondo il quale le parti
devono poter disporre del “canovaccio” sul quale il CTU ha lavorato ed i
nessi logici che egli ha operato per giungere alle sue conclusioni, in modo
da poter contraddire, se necessario, l’elaborato peritale.
Personalmente, dal punto di vista epistemologico, effettuo consulenza
tecnica di impianto sistemico-relazionale, impianto che adotta quale
modello teorico quello messo a punto da Cigoli e collaboratori (1988) nel
testo “Il legame disperante”.
Ciò significa che il mio approccio alla famiglia in CTU si basa sull’assunto
secondo il quale la famiglia è un sistema, suddiviso in sottosistema
genitoriale e sottosistema filiale. Il modo di osservare la famiglia e di
interagire con essa non si basa sul “qui e ora”, ma è la ricerca della storia
di quella famiglia, lo studio delle relazioni strutturate al suo interno, come
le relazioni si sono elaborate nel tempo e come condizionano il “qui e ora”
del configgere.
Perché dal conflitto i coniugi non riescono ad uscire?
Perché usano i figli quale terra di nessuno?
Cosa posso fare in qualità di Consulente Tecnico di ufficio per il Giudice
per dare risposta alle parti e al Giudice, assumendomi pienamente la
responsabilità della quale sono investita e che a volte presuppone prendere
decisioni assolutamente inusuali quali, per esempio, in casi estremi, il
cambio di domiciliazione prevalente?
Recentemente ho avuto modo di occuparmi di una CTU che afferisce
proprio a questa casistica.
A fine indagine peritale, per i dati emersi in corso di CTU, i presupposti
epistemologici ai quali mi ispiro ed i nessi logici operati sui dati raccolti,
sono giunta alla conclusione secondo la quale soltanto il cambio di
domiciliazione prevalente della minore poteva risolvere l’empasse nella
quale la situazione era precipitata.
Purtroppo il tempo non è una variabile indipendente, anzi condiziona
fortemente la realizzazione di soluzioni idonee.
Data la complessità del caso, su richiesta di un CTP di parte, è stato
disposto un supplemento di CTU, che ha richiesto altro tempo ed ha
determinato un ulteriore aggravamento delle condizioni della minore. A
fine percorso peritale, la minore era così provata dallo stato conflittuale fra
la famiglia materna e la famiglia paterna da non poter più, a quel punto,
sopportare il cambio di domiciliazione prevalente.
Pertanto, nonostante a mio avviso il cambio di domiciliazione fosse l’unica
soluzione possibile per poter introdurre un cambiamento in quel sistema e
consentire che la crisi fosse superata, non è stato possibile dare corso
all’attuazione.
Il tempo non è quindi una risorsa illimitata e c’è un tempo per ogni
soluzione, trascorso il quale anche la soluzione più idonea diviene
impraticabile.
Nell’ottica sistemico-relazionale si indaga sulla famiglia e sulla storia della
famiglia, perché l’appartenenza alla stirpe contribuisce all’acquisizione del
valore della persona, sostenendone il senso di appartenenza. Nel caso di
separazioni e divorzi viene a mancare il 50 % della famiglia: ad esempio,
nel disegno dell’albero spesso i bimbi disegnano l’albero senza le radici o
con radici particolari o con tronchi rotti.
Il CTU si trova a valutare una famiglia in un tempo misurato e
circoscritto, allo scadere del quale deve fornire indicazioni al Giudice
affinchè egli possa prendere una decisione che sia la più consona a tutti i
membri della famiglia. Inoltre, il CTU deve comprendere e restituire alla
famiglia il senso complessivo della vicenda nel suo sviluppo storico fino
alla situazione attuale; quello specifico “intreccio” familiare dei racconti e
dei vissuti dei protagonisti, all’interno del quale collocare i comportamenti
dei singoli e individuare le risorse necessarie alla crescita dei figli.
Il CTU deve pertanto individuare nei genitori l’eventuale presenza di indizi
di cooperazione, di disponibilità sostanziale, ovvero di difficoltà, rispetto
al diritto/dovere dell’altro di partecipare alla crescita e all’educazione dei
figli e al loro complementare bisogno di “accedere” all’altro genitore.
Osserva cioè quanto il genitore permette all’altro genitore di stare con il
figlio e con la propria stirpe (nonni, zii, cugini…).
L’ attenzione è rivolta al bisogno autentico dei figli, al di là di quel che
poteva apparire ad un primo e superficiale livello. Viene osservata la
presenza/assenza nei genitori di alcune variabili, quali ad es. la
cooperazione, le modalità comunicative, il legame emotivo, la
presentazione dell’altro, la capacità di guida dei figli, etc.
Per ciò che riguarda l’intervento sistemico relazionale, il colloquio
peritale con le parti si muove dall’indagine sulla famiglia di origine di
ciascuna parte e sulla sua storia, per comprendere la genesi della storia
della famiglia recisa che ora al CTU si trova davanti.
I criteri ai quali si ispira la Consulenza Tecnica psicologica ad
orientamento sistemico-relazionale sono i seguenti:
1) caratterizzazione della CTU ad intervento clinico-diagnostico, in modo
tale da mettere a disposizione delle parti la rielaborazione della storia
familiare e delle dinamiche relazionali che caratterizzano il perdurare del
conflitto coniugale;
2) assunzione del criterio dell’accesso quale criterio prioritario in
riferimento all’affidamento dei figli;
Sulla base delle valutazione delle dinamiche familiari, si rilevano i livelli
di capacità, gli indizi di cooperazione e di disponibilità o la difficoltà
rispetto al diritto/dovere dei genitori di promuovere e garantire la
continuità dei legami con entrambe le stirpi familiari;
3) l’assunzione del criterio della qualità della relazione genitore-figlio e
del desiderio autentico del minore, così come formulato da altri approcci
scientifici (A. Freud ed altri, 1973, e Dell’Antonio, 1990), considerati però
nel più ampio contesto della struttura sistemica e delle dinamiche
relazionali della famiglia, secondo la coerenza epistemologica delle CTU
ad orientamento sistemico-relazionale;
4) la centralità dell’analisi della relazione di coppia – sia coniugale che
genitoriale – del patto di coppia – sia segreto che di impegno nella
relazione – , degli elementi che impediscono il passaggio della coppia oltre
la fine della relazione;
5) la considerazione del trasfert che investe il comportamento dei genitori
nei confronti della Giustizia e dei soggetti presenti nel sistema peritale e
processuale;
6) la produzione di un dispositivo che rende disponibili informazioni di
diversa natura (rappresentazionale, intesa quale saldatura tra aspetti
cognitivi ed aspetti affettivi, e relazionale) per mezzo di diversi livelli di
analisi della situazione e dei sistemi in rapporto tra loro ( analisi
dell’individuo, della diade, della triade, del sistema).
Da un punto di vista epistemologico questi criteri guida ci consentono di
individuare le cause di una situazione di disagio che perdura e ci
consentono di provare ad individuare una soluzione che miri a garantire ai
minori una continuità di relazione con la propria storia e con tutti i legami
che l’hanno caratterizzata. Allo stato attuale, gli studi di cui disponiamo
riferiscono che non è tanto il fatto di essere figli di genitori separati o di
genitori divorziati che determina la potenziale esposizione a rischi psicoevolutivi.
Alcune ricerche hanno addirittura mostrato che, in certe condizioni, i figli
di divorziati hanno uno sviluppo psicologico migliore (Francescato et al.
1999; Reinhard 1977). Se invece il divorzio è fonte di sofferenza e disagio,
ci possono essere ripercussioni sui figli (Emery e O’rsquo; Leary 1984).
Da un punto di vista metodologico, procedo alla videoregistrazione delle
sedute peritali, così come raccomandato dall’articolo 11 delle “Linee guida
deontologiche per lo Psicologo Forense”, approvate dall’Associazione
Italiana di Psicologia Giuridica, a Roma, il 17/01/99.
La videoregistrazione è ovviamente a disposizione del Giudice in qualsiasi
momento; qualora le parti ne chiedano copia, esse possono facendo istanza
al Giudice, che acconsente o meno alla duplicazione.
L’unica videoregistrazione autorizzata è quella del CTU, io non consento
ai consulenti tecnici di parte di registrare autonomamente.
Preferisco la videoregistrazione perché nella videoregistrazione ho a
disposizione materiale clinico che mi consente di verificare, oltre ai
contenuti verbali, anche i contenuti non verbali del colloquio e
dell’interazione. Opero una breve digressione: tutti voi sapete che il canale
verbale è controllabile all’80%, quindi io posso decidere che cosa desidero
e non desidero dire. Il canale non verbale è meno controllabile del canale
verbale, e con esso intendiamo la postura, il tono della voce, l’espressione
del viso, la posizione del corpo, delle mani, dei piedi, il tono della voce
rispetto al CTU, anche rispetto al consulente di parte o rispetto ai figli.
Tutte informazioni che saranno poi oggetto di valutazione.
Per quanto attiene il diritto alla partecipazione alle operazioni peritali, esso
è consentito agli avvocati ad ogni sessione. Per quanto attiene i Consulenti
tecnici di parte, mi aspetto che siamo nominati nel corso dell’Udienza di
Giuramento; qualora non lo siamo, chiedo espressamente agli Avvocati
che mi sia inviata copia della nomina.
All’inizio delle operazioni peritali, convoco entrambi i CTP ed insieme
redigiamo il calendario delle sessioni peritali ed il Verbale, nel quale
chiedo ad entrambi i CTP di consegnare le loro osservazioni scritte 10
giorni prima del termine delle operazioni peritali.
Le osservazioni saranno allegate alla relazione di CTU, a seguito del
deposito della quale i CTP potranno comunque produrre le loro
controdeduzioni.
Il primo incontro con le parti avviene a livello di collegio congiunto, nel
corso del quale pongo le seguenti domande:
1) che cosa si aspetta dalla CTU?
2) perché siamo giunti a questo punto dove un estraneo, il CTU, deciderà
della vostra vita e della vita dei vostri figli?
3) qual è allo stato attuale la soluzione migliore secondo lei?
Mi preme chiedere subito alle parti le loro aspettative rispetto alla CTU.
Spesso le persone si rivolgono alla Giustizia appunto per “avere giustizia”
e si rivolgono al Consulente Tecnico d’ufficio con la stessa richiesta di
riconoscimento: “io sono la parte lesa”, “io sono la parte sofferente”, “io
sono la parte fragile”, “mi aspetto che lei riconosca questa verità”.
I colloqui successivi sono almeno due con ciascun coniuge ed uno con
ciascuno di loro e la loro famiglia di origine.
Seguono poi le interazioni genitori-figli. Prima dell’inizio delle interazioni
con i figli, chiedo a ciascun genitore di spiegare ai minori la consulenza
tecnica, la mia presenza e la motivazione per la quale essi sono lì. I minori
sono a loro volta ascoltati in uno o più colloqui, di norma successivi alle
interazioni con i genitori.
I colloqui con i genitori sono condotti sui temi della storia personale e
familiare, sulla situazione attuale di disgregazione coniugale e sulle
prospettive future. Viene indagato il piano della relazione coniugale ed il
piano della relazione genitoriale.
Ogni intervista è indagata secondo una tecnica di analisi del contenuto
messa a punto da Trognon (1990). Vengono individuati temi emotivi
ricorrenti, tali da costituire nuclei tematici prevalenti (appartenenza,
distanza/vicinanza, ecc.).
Durante le interazioni genitori/figli, viene osservato il comportamento dei
minori con ciascun genitore separatamente, in modo tale da valutare la
qualità della relazione, lo stato emotivo-affettivo, le competenze sociali
mostrate da ciascun genitore di fronte ai compiti richiesti.
Le interazioni possono avere quale tema:
1. progetto individuale : si lascia il genitore nella stanza di osservazione
con il figlio, mentre lo psicologo esce dalla stanza e osserva da dietro uno
specchio unidirezionale. Si chiede al genitore ed al figlio di progettare
un’attività da fare insieme (ad es. andare al cinema, andare a mangiare una
pizza, andare al mare…). Consente di valutare quanto il genitore riesce a
fare da guida ai propri figli e egli presta attenzione alle loro richieste.
2. Lousanna Triadic Player messo a punto da Fivaz: si chiede ad un
genitore di giocare all’interno della stanza di osservazione, dove ci sono
giocattoli adatti per ogni età, con il proprio figlio, alla presenza dell’altro
genitore, mentre lo psicologo resta dietro lo specchio unidirezionale. Poi il
genitore, dopo qualche minuto, esce dal gioco ed entra l’altro genitore, che
gioca a sua volta con il figlio. Dopo qualche minuto rientra nel gioco il
genitore che era fuori e per alcuni minuti entrambi i genitori giocano con il
figlio. Poi i genitori si spostano nella stanza e si mettono da parte a parlare,
lasciando il figlio solo a giocare. Tale test è utile anche per valutare
eventuali casi di abuso-maltrattamento perché il bimbo, se ha assistito a
violenze, una volta lasciato solo, non tollera che il genitore a sua volta
maltrattato resti in disparte con l’altro genitore a parlare. Tenta in tutti i
modi di monopolizzare l’attenzione, cercando anche di mettersi in braccio
al genitore percepito come più fragile.
Nel valutare le interazioni si considerano alcuni parametri quali la
presenza/assenza di cooperazione, le modalità comunicative, il legame
emotivo, ecc., così come enunciato con cecklist da Cigoli e collaboratori
nel testo “Il legame disperante”.
Sulla base di queste interazioni, è possibile raccogliere indicazioni relative
alle modalità genitoriali e di rapporto genitori/figli ed indicazioni utili al
fine di valutare le risorse educative di ciascun genitore.
Nell’ultima interazione, che avviene con i minori ed entrambi i genitori, è
possibile raccogliere informazioni relative alla posizione emotiva ed al
comportamento di ciascun familiare rispetto agli altri.
Si tratta del disegno congiunto, ovvero la richiesta alla famiglia tutta, in
contemporanea, di realizzare “un disegno congiunto della famiglia così
come la vedete adesso, mentre sta facendo qualcosa” .
L’ultimo colloquio è infine rivolto alla coppia genitoriale convocata
congiuntamente. Il colloquio è indirizzato ad illustrare le conclusioni alle
quali è giunto il CTU, sulla base del quesito ricevuto, con l’intento di
giungere con le parti ad una soluzione concordata o, in caso contrario, di
offrire alla parti una prima restituzione del percorso effettuato.
Terminata la raccolta del materiale, la stesura della relazione peritale
riproduce sostanzialmente le fasi della CTU: vi è l’esordio giudiziario,
desunto dalla lettura degli atti di causa; ci sono i colloqui, raccolti – come
prima esplicitato – per aree tematiche prevalenti; vi sono le interazioni,
descritte e commentate in ordine alle modalità relazionali osservate. Fin
qui nella relazione peritale sono esposti i dati raccolti, secondo i principi
dell’intersoggettività e del contraddittorio di cui si diceva all’inizio.
Segue nella relazione peritale il capitolo conclusivo, “alla ricerca
dell’intreccio”, capitolo nel quale vengono “intrecciati” tutti i dati raccolti
dagli atti di causa, dai colloqui effettuati, dalle interazioni, così da produrre
una lettura verosimile dello scambio generazionale e della situazione
attuale delle relazioni familiari relative al minore. Viene così proposta una
chiave interpretativa univoca dell’intreccio ed è da questa lettura che,
nell’ultimo paragrafo, conseguono le considerazioni, le valutazioni e la
risposta al quesito.
Nella risposta al quesito può essere indicata l’opportunità di effettuare un
monitoraggio. Esso dovrebbe riguardare la verifica dell’applicazione del
dispositivo a cura delle parti e non dovrebbe superare i 6/8 mesi, massimo
un anno.
Secondo il suddetto impianto epistemologico è pertanto indispensabile e
deontologicamente corretto ascoltare il minore non soltanto come
testimone ma anche come protagonista, valutando una modalità di affido
che sia basata su indagini interattive almeno triadiche, cioè con la
compresenza di genitori e figli.
La visione trigenerazionale (famiglia di origine di entrambi i coniugi, i
coniugi ed i minori) deve completare l’osservazione e la valutazione della
coppia e della famiglia. Infine, la risposta al quesito deve essere chiara e la
comunicazione di questa deve essere fatta alla coppia ed ai minori.
Bibliografia
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Giuffrè, Milano.
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