Per promuovere un buon percorso separativo è importante che la coppia possa rimanere il minor tempo possibile in una dimensione di acceso conflitto.
A supporto della coppia è possibile attivare un percorso di mediazione familiare, volto a sostenere i genitori nel trovare accordi in merito all’organizzazione familiare, dopo la separazione e dopo il divorzio, in funzione della bigenitorialità.
Qualora il conflitto perduri e la coppia genitoriale viva una dimensione di alta conflittualità, è necessario pensare alla possibile attivazione di un processo di coordinazione genitoriale, affinché l’alta conflittualità genitoriale non diventi potenziale pregiudizio per lo sviluppo dei minori.
Ma quali sono gli ambiti fisiologici della sofferenza genitoriale e filiale, in un processo di separazione e divorzio?
Con piacere proponiamo l’intervista al Dott. Aldo Mattucci, Medico Psichiatra, Psicoterapeuta, Consulente Tecnico Forense, Direttore dell’Istituto Veneto di Terapia Familiare.
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Gli effetti psicologici della separazione e del divorzio per genitori e figli – Intervista ad Aldo Mattucci – Psichiatra, Psicoterapeuta, Direttore dell’Istituto Veneto di Terapia Familiare
Dott. Mattucci quali sono gli effetti fisiologici della separazione e del divorzio per i genitori e per i figli?
“Si tratta di un argomento al quale sono particolarmente attento, in quanto, per tutti coloro che si occupano dell’ambito psico-giuridico, ritengo sia assolutamente una questione centrale parlare di effetti fisiologici della separazione e del divorzio sui figli.
Personalmente ritengo che oltre alla sofferenza dei due genitori, ovviamente di natura diversa nel caso che la separazione sia stata decisa soltanto da uno dei due, anche i figli debbano avere la possibilità di esprimere la propria sofferenza. Questa sofferenza però non va mai – ed è per questo che io mi rivolgo a tutti coloro che lavorano nel campo psico-giuridico – confusa con un sintomo. Ad esempio, nel periodo che va dai 3 ai 5 anni, ma direi anche subito successivamente, come da letteratura, si parla di regressione evolutiva, ovvero quello o quei comportamenti che appaiono come essere una regressione – vedasi ad esempio il tornare a fare pipì a letto, il riprendersi l’orsacchiotto a cui si era legati, riprendersi il ciucciotto che era stato abbandonato, per i più piccoli, e via dicendo, sono segnali di una sofferenze che, se accolta nel modo corretto, consente di rimanere all’interno di un processo di crescita, di un processo evolutivo.
Nella fase che va dai 6 ai 9 anni è possibile che i bambini chiedano un’autorizzazione ad essere tristi, sempre in questa fase, ma anche in quella successiva, dai 9 ai 12 anni è possibile che ci siano delle somatizzazioni o una riacutizzazione di somatizzazioni. È possibile, ad esempio, che i figli siano distratti a scuola, questo come molti altri, sono segnali di una impossibilità di espressione della propria sofferenza da parte dei figli quando gli adulti hanno deciso di porre fine alla loro relazione di coppia.
Quindi è fondamentale accogliere questo disagio in modo tale da favorire nei genitori l’assunzione di quella responsabilità genitoriale che comporta che io – come genitore – possa tollerare il mio dolore nel vedere il figlio che soffre per una decisione mia.
Questo pone il genitore in una posizione up che è determinante nella crescita dei figli.
Quindi i genitori, qualora richiedano l’intervento di un esperto in un contesto di separazione, vanno accolti loro stessi, va indagato qual è il tipo di disagio che li preoccupa, in modo tale che se c’è un disagio significativo allora può essere utile anche un’osservazione dei figli stessi, ma diversamente i genitori vanno aiutati ad essere loro a poter dare una risposta utile, corretta, contenitiva alla sofferenza dei propri figli.
In conclusione, il grande lavoro va sostenuto con i genitori e non con i figli. Diversamente rischieremmo di trasformare dei bambini in pazienti”.
Il trauma – a cura di Roberta Cambi
L’etimologia della parola trauma si riconduce al verbo greco τιτρώσκω, che significa “perforare”, “danneggiare”, “ledere”, “rovinare”, ed ha un duplice riferimento ovvero, una ferita con lacerazione, gli effetti di un urto, di uno shock sulla persona. Le prime teorizzazioni sulla sua eziopatogenesi arrivano da Pierre Janet, il quale teorizzava che le esperienze traumatiche nascessero dalla discontinuità dell’esperienza cosciente ostacolando direttamente quelle funzioni di integrazione che chiamava “sintesi personale”, “personalizzazione” e “presentificazione”. Da questa teorizzazione Janet introdusse così i termini di dissociazione o disgregazione. Con l’avvento delle guerre dalla seconda metà del secolo scorso, gli studi si sono concentrati sugli effetti che queste avevano causato sulle persone e sugli ex-soldati; varie correnti di pensiero psicoterapeutico si sono occupati della questione del trauma, in quanto esso diveniva la causa di disturbi significativamente compromettenti per l’equilibrio psicofisico dell’individuo. Basti pensare al primo criterio diagnostico del Disturbo Post Traumatico da Stress, DPTS, (DSM V) il quale prevede come criterio l’esposizione ad un evento traumatico, con le sue varie diciture e particolarità del caso. Citiamo anche agli studi del Dr. Bessen Van Der Kolk sull’elaborazione delle memorie traumatiche, o in territorio italiano ai colleghi cognitivisti Dr. Benedetto Farina e Giovanni Liotti che hanno lavorato sui traumi e sul meccanismo dissociativo, e – più vicino al pensiero sistemico – al lavoro con la relazione nella psicoterapia legata al trauma psichico svolto dalla Dr.ssa Tullia Toscani.
Nel DSM V, il trauma è un’esperienza personale diretta di un evento che causa o può comportare morte o lesioni gravi, o altre minacce all’integrità fisica. Possiamo inoltre aggiungere che l’evento traumatico non comporta solo delle modificazioni a livello neurologico – ad esempio, iperattivazione del SNS e stati di iperarousal -, a livello cognitivo – ad esempio, effetti sulla memoria e sulla percezione -, a livello comportamentale – ad esempio, l’evitamento di certi stimoli che attivano il ricordo del trauma, ma ha implicazioni anche a livello relazionale ed a livello emotivo, come nel caso della dissociazione, a breve e lungo termine. Inoltre, il trauma può essere vissuto anche con un’esperienza indiretta, ad esempio se veniamo a conoscenza di danno o minacce all’integrità fisica di un’altra persona o se veniamo a conoscenza della morte di un caro. Nonostante l’essere umano sia capace di resilienza e di sopportare vari eventi durante l’arco della propria vita, il trauma resta un evento di intollerabile ed insopportabile per definizione, che sia vissuto in maniera diretta in maniera indiretta. Una volta avvenuto, il trauma, lascia delle tracce nella persona a più livelli. Un’esperienza traumatica può riaffiorare al minimo accenno di pericolo e modificare circuiti cerebrali disturbati, secernendo quantità significative di ormoni dello stress; questo precipita in emozioni sgradevoli, sensazioni fisiche intense ed azioni impulsive ed aggressive. Portando alcuni esempi, per trauma si può intendere una violenza fisica subita (o assistita), un abuso sessuale, il lutto di una persona cara, l’esser vittima di un attentato o altra catastrofe come un terremoto, inoltre potremmo includere nel concetto di trauma anche l’esperienza di separazione e/o divorzio e l’abbandono di cure genitoriali vissute da un figlio. Fra le varie tipologie di trauma sopracitate, ci interessa parlare dell’ascolto del minore, vittima di maltrattamenti fisici e/o di abuso sessuale. Lo psicologo può essere chiamato in qualità di esperto in materia per la raccolta di dati ed informazioni, in caso di notizia di abuso o violenza su minore, secondo l’art. 391 bis c.p.p, dal PM al fine di svolgere l’incidente probatorio. A livello legislativo italiano ed internazionale, esistono numerosi protocolli che decretano i diritti e la tutela dei minori vittime di violenza, fra queste la Carta di Noto, la Convenzione di Strasburgo, la Convenzione dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, la Convenzione di Lanzarote.
Per l’art. 392 c.p.p., si ricorre all’incidente probatorio in un luogo diverso dal Tribunale, affinché le dichiarazioni testimoniali del minore siano documentate integralmente con mezzi di riproduzione audio-visiva non appena il Pubblico Ministero (PM) ne riceve notizia. Secondo le Linee Guida italiane per l’ascolto del minore testimone, si prevedono le seguenti indicazioni: ridurre il più possibile il numero delle audizioni, garantire l’ascolto in un contesto che garantisca sicurezza per il minore, rendere espliciti le motivazioni del colloquio al minore, comunicare la libertà del minore di interrompere il perito per correggerlo o dare precisazioni, audio e video registrazioni, non adottare una modalità “pressante” nella conduzione del colloquio e delle domande, condurre l’intervista secondo i protocolli suggeriti dalla letteratura internazionale ed in caso di multipli ascolti verificare le modalità con le quali queste si sono svolte. L’ascolto del minore si articola principalmente in quattro fasi: quella della costruzione del rapporto col minore, permettere lo spazio per un racconto spontaneo, formulare delle domande di approfondimento alla vicenda, ritorno del colloquio a temi neutrali. Nella fase iniziale del colloquio si cerca di mettere a proprio agio il minore e facilitare il racconto spontaneo, valutando anche le capacità cognitive, linguistiche e affettive del bambino; è importante dare al minore il tempo di fidarsi dell’intervistatore. Una volta iniziato il racconto, lo psicologo dovrà mettere in atto un ascolto attivo e non giudicante nei confronti del minore, cercando di agevolare il racconto e raccogliere il maggior numero di informazioni e non influenzato da fonti esterne. Nel chiedere approfondimenti alla vicenda, è consigliabile non rivolgere domande suggestive, rispettare i momenti di pausa del minore e ri-utilizzare i termini da lui utilizzati. La fase conclusiva dell’audizione, si caratterizza dal riassunto delle informazioni raccolte dal perito e nel chiedere al minore se ha informazioni aggiuntive da dare e/o domande da porre. Fondamentale ai fini della fiducia e del rapporto instaurato, è ringraziare il bambino per il tempo e per lo sforzo fatto nel raccontare. Infine, il colloquio si dovrebbe concludere su temi neutri.
Oltre alle linee guida per condurre il colloquio e l’ascolto attivo ed esplorativo, lo psicologo ha a disposizione degli strumenti per valutare i possibili fattori che influenzano il ricordo ed il racconto del minore. Fra questi ricordiamo la Statement Validity Analysis (SVA), strumento che aiuta il perito a discriminare le informazioni false dalle informazioni vere, valutando la struttura, la qualità ed il contenuto del racconto. Altre variabili che possono incidere nella raccolta delle informazioni in caso di abuso e violenza sono: la capacità di rendere testimonianza del minore e la sua suggestionabilità. Nella valutazione della capacità di testimoniare si andranno ad indagare le funzionalità delle capacità cognitive quali: linguaggio, intelligenza, memoria ed attenzione (WISH IV); mentre per suggestionabilità si intende la capacità di riportare informazioni senza che vi sia un’influenza significativa da fattori esteri.
Bibliografia
Biondi, M. DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Raffaello Cortina Editore (2014).
Liotti G. e Farina, B., Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Raffaello Cortina Editore (2011).
Liotti G. e Farina, B., La psicotraumatologia contemporanea e le teorie sui rapporti fra processi mentali coscienti e inconsci. Sistemi Intelligenti, 25 (3), 553-564 (2013).
Liotti G. e Farina, B., Un’esplorazione neuroscientifica della dissociazione post- traumatica e la sua rilevanza per l’etica della psicoterapia. Rivista Internazionale Di Filosofia E Psicologia, Vol. 4, n. 3, pp. 325-337 (2013). Marcheselli, F. La consulenza tecnica di parte in ambito tecnico-forense. Pratica, metodologia, formazione. Edizione Psiconline (2018).
Toscani, T. La Relazione Al Centro Della Cura Del Trauma Psichico: Il ragionamento clinico in psicotraumatologia integrato con l’orientamento sistemico-relazionale. Edizioni In Riga (2019).
Van Der Kolk, B., Il corpo accusa il colpo. Raffaello Cortina Editore (2014).